TRIBUNALE DI ANCONA 
 
    Il Giudice del Lavoro, dott.ssa Arianna Sbano; 
    Sciogliendo la riserva assunta all'udienza del 14 maggio 2013; 
    Lette le note pervenute nel termine concesso; 
    Dato atto dell'avvenuta riunione al presente procedimento n. 6/12
pendente tra: 
    Rillo Maurizio,  residente  ad  Ancona,  rappresentato  e  difeso
dall'avv. Mauro Buontempi ed elettivamente  domiciliato/a  presso  lo
studio in Ancona, Via Cardeto 3/b 
    ricorrente e 
    Regione Marche - in persona del Presidente p.t., rappresentata  e
difesa dall'Avv. M.G. Moretti, elettivamente  domiciliato  presso  la
sede di Ancona, P.zza Cavour 23 
    resistente 
    del procedimento portante il n. 9/12 RGL pendente tra: 
    Sordoni Fabrizio, residente ad  Ancona,  rappresentato  e  difeso
dall'avv. Mauro Buontempi ed elettivamente  domiciliato/a  presso  lo
studio in Ancona, Via Cardeto 31b 
    ricorrente e 
    Regione Marche - in persona del Presidente p.t., rappresentata  e
difesa dall'Avv. M.G. Moretti, elettivamente  domiciliato  presso  la
sede di Ancona, P.zza Cavour 23 
    resistente 
    ha pronunciato la seguente 
 
                              Ordinanza 
 
    Rilevato in Fatto 
    Con due ricorsi al giudice del lavoro del  suintestato  Tribunale
depositati in data 4 gennaio 2012, i ricorrenti in epigrafe indicati,
entrambi dipendenti della Regione Marche, il Rillo con  inquadramento
nella sesta qualifica funzionale, figura professionale  di  fotografo
di illustrazione ed iscritto,  a  far  data  dal  18  settembre  2006
all'albo dei giornalisti, elenco pubblicisti, di Ancona ed il Sordoni
con  inquadramento  nella   quinta   qualifica   funzionale,   figura
professionale di operatore dei servizi generali al servizio stampa  e
pubbliche  relazioni,  pure  iscritto   all'albo   dei   giornalisti,
lamentano l'illegittimo rifiuto sin  ad  ora  opposto  dalla  Regione
all'applicazione  del  trattamento  retributivo  previsto  dal   CCNL
Giornalisti. 
    I  ricorrenti,  infatti,  esercitavano  il  diritto  di   opzione
previsto dall'art. 7 comma 3 della L.R. n. 51/1997, il Rillo, in data
15 novembre 2006, ed il Sordoni, in data 11 agosto 2006. 
    Tale articolo  7  (Strumenti  per  l'informazione  diretta  della
Regione)  cosi'  recita:  «1.  I  servizi  stampa,  documentazione  e
pubbliche relazioni del Consiglio e della Giunta regionale coordinano
l'attivita'  di  informazione,  di  documentazione  e  di  promozione
esterna della Regione. 2. Il  personale  degli  uffici  stampa  della
Regione che  svolge  attivita'  giornalistica  deve  essere  iscritto
all'ordine dei  giornalisti.  3.  Il  personale  regionale  di  ruolo
iscritto  all'ordine  dei   giornalisti   e   che   svolge   mansioni
giornalistiche negli uffici stampa della Regione puo' optare  per  il
trattamento economico previsto dal  contratto  collettivo  di  lavoro
giornalistico. In tal caso il rapporto di lavoro  e'  trasformato  in
rapporto a tempo indeterminato non di ruolo». 
    Chiedono,  dunque,  i  ricorrenti  che  la  Regione  Marche   sia
condannata ad applicare nei loro confronti il  trattamento  economico
proprio del contratto nazionale giornalistico a  tempo  indeterminato
con il riconoscimento della qualifica di redattore con trenta mesi di
attivita', con conseguente obbligo di iscrizione all'INPGI e  diritto
al pagamento di differenze retributive pari ad euro 47.646,35 per  il
Rillo, ed ad euro 62.067,51 per il Sordoni. 
    La  Regione  Marche,  pur  dando  atto   della   legittimita'   e
conformita' alle disposizioni di legge  delle  domande  avanzate  dai
propri dipendenti, ometteva di darvi corso, accampando, da  un  lato,
problemi di organico, dall'altro,  problemi  di'  contenimento  della
spesa pubblica e mancanza di' copertura economico-finanziaria. 
    All'udienza del 14 maggio 2013, questo decidente ha  rilevato  la
sussistenza di una possibile  questione  di  costituzionalita'  della
norma regionale invocata dai pubblici dipendenti ed ha assegnato alle
parti termine per il  deposito  di  note  difensive  per  dedurre  in
merito. 
    Ritenuto in Diritto 
1. - Sulla rilevanza della questione di  legittimita'  costituzionale
nel giudizio a quo. 
    Ebbene,  si  ritiene,   innanzitutto,   che   la   questione   di
legittimita' costituzionale qui prospettata  sia  rilevante  ai  fini
della decisione, dal momento che dall'applicazione delle disposizioni
di  legge  invocate  puo'  dipendere  l'accoglimento   del   ricorso,
determinando,  in  particolare,  non  soltanto  l'estensione  di   un
contratto collettivo di  diritto  comune  ai  dipendenti  degli  enti
locali addetti agli  uffici  stampa,  con  le  correlate  complessive
conseguenze economiche e giuridiche,  ma  anche,  specificamente,  un
incremento  del   loro   trattamento   retributivo,   come   risulta,
specificamente, dai conteggi depositati in  giudizio  dai  lavoratori
senza contestazione da parte dell'ente territoriale. 
    In particolare, si rileva che la Regione Marche, costituendosi in
giudizio,  non  ha   contestato   l'esistenza   dei   requisiti   per
l'applicazione  della  normativa  invocata  dai  ricorrenti  ed,   in
particolare,  la   circostanza   dello   svolgimento   di   attivita'
giornalistica, come da attestazioni rilasciate in proposito dal  capo
redattore, su richiesta del dirigente del Servizio Risorse Umane  (v.
doc. 8 e 5 fascicoli parte ricorrente). 
    Considerato, poi, che la definizione dei due procedimenti dipende
dalla medesima questione di diritto, sussistono  valide  ragioni  per
disporre la riunione degli stessi, ai sensi dell'art.  274  c.p.c.  e
dell'art. 151 disp. att. c.p.c.. 
2. - Sulla non manifesta infondatezza della questione di legittimita'
costituzionale formulata. 
    2.1. Violazione degli artt. 117 e 3 Cost. 
    Tanto esposto in ordine alla rilevanza  della  questione,  quanto
alla non manifesta infondatezza della  stessa,  va  rilevato  che  la
disposizione di legge che si intende  porre  al  vaglio  della  Corte
costituzionale  pare  confliggere  con  il   quadro   costituzionale,
precisamente con gli artt. 117 e 3 della Costituzione. 
    Codesta Corte ha gia' avuto modo di esaminare questione del tutto
similare, se non identica, con la sentenza n. 189/2007. 
    In quell'occasione, erano al vaglio delle disposizioni  di  legge
emanate dalla Regione Sicilia, in particolare, l'art. 58 della  legge
regionale n. 33 del 1996 e successive modificazioni - nella parte  in
cui  prevede  l'applicazione  del  contratto  nazionale   di   lavoro
giornalistico nella sua  interezza  ai  giornalisti  impiegati  negli
uffici stampa -; l'art. 16 della legge regionale  n.  8  del  2000  -
nella parte in cui stabilisce che «ai componenti degli uffici  stampa
si attribuisce la qualifica ed il trattamento  contrattuale  di  capo
servizio» -, sia infine dall'art. 127 della legge regionale n. 2  del
2002, nella parte in cui prevede che «in sede di  prima  applicazione
ai giornalisti componenti gli uffici stampa gia' esistenti presso gli
enti di cui all'articolo 1 della legge regionale 30 aprile  1991,  n.
10, e' attribuita la qualifica  ed  il  trattamento  contrattuale  di
redattore capo, in applicazione del  Contratto  nazionale  di  lavoro
giornalistico ed in sintonia con l'art. 72 della legge  regionale  29
ottobre 1985, n. 41. 
    In quella pronuncia, la Corte dava conto del fatto di avere «gia'
affermato che il rapporto di impiego alle dipendenze  di  Regioni  ed
enti locali, essendo stato "privatizzato" in virtu' dell'art. 2 della
legge n. 421 del 1992, dell'art. 11, comma 4, della  legge  15  marzo
1997, n. 59 (Delega al Governo per  il  conferimento  di  funzioni  e
compiti alle regioni ed enti locali, per la  riforma  della  Pubblica
Amministrazione e  per  la  semplificazione  amministrativa),  e  dei
decreti legislativi emanati in attuazione di quelle leggi delega,  e'
retto dalla disciplina generale dei rapporti di lavoro tra privati ed
e', percio', soggetto alle regole che garantiscono  l'uniformita'  di
tale tipo di rapporti (sentenza n. 95 del 2007).  Conseguentemente  i
principi fissati dalla legge statale in materia costituiscono  tipici
limiti  di  diritto  privato,  fondati  sull'esigenza,  connessa   al
precetto costituzionale di eguaglianza,  di  garantire  l'uniformita'
nel territorio nazionale delle regole  fondamentali  di  diritto  che
disciplinano i rapporti fra privati e, come tali, si impongono  anche
alle Regioni a statuto speciale (sentenze n. 234 e n. 106  del  2005;
n. 282 del 2004)». 
    In particolare, poi, proseguiva la Corte, «dalla legge n. 421 del
1992 puo' trarsi il principio (confermato anche dagli artt. 2,  comma
3, terzo e quarto periodo, e 45 del d. lgs. n. 165  del  2001)  della
regolazione mediante contratti collettivi del  trattamento  economico
dei dipendenti pubblici (sentenze n. 308 del 2006 e n. 314 del  2003)
che, per le ragioni sopra esposte, si pone quale limite  anche  della
potesta' legislativa esclusiva  che  l'art.  14,  lettera  o),  dello
statuto di autonomia speciale attribuisce  alla  Regione  Sicilia  in
materia di "regime degli enti locali"». 
    Dunque,   alla   luce   di   tali   rilievi,   appariva    chiara
«l'illegittimita'  costituzionale  delle   disposizioni   legislative
regionali oggetto delle questioni sollevate dal Tribunale di Marsala.
Si tratta, infatti, di norme che determinano il trattamento economico
dei dipendenti degli enti locali addetti  agli  uffici  stampa  delle
amministrazioni di appartenenza. Esse hanno  previsto,  in  un  primo
momento (art. 58 della legge regionale n. 33 del 1996),  che  a  quei
lavoratori si applica il contratto collettivo nazionale di lavoro dei
giornalisti; poi (art. 16 della legge regionale n. 8 del  2000),  che
ad essi  e'  attribuita  la  qualifica  ed  il  trattamento  di  capo
servizio; infine (art. 127 della legge regionale n. 2 del 2002),  che
la qualifica ed il trattamento economico che spetta loro e' quella di
redattore capo. 
    Le norme censurate  si  pongono,  quindi,  in  contrasto  con  il
generale principio secondo il  quale  il  trattamento  economico  dei
dipendenti pubblici il cui rapporto di lavoro e' stato «privatizzato»
deve essere disciplinato dalla contrattazione collettiva. 
    Non e' condivisibile l'assunto espresso sia dalle parti  private,
sia dalla Regione, secondo cui quel principio nella  fattispecie  non
sarebbe stato leso perche' le norme impugnate fanno  comunque  rinvio
ad una fonte contrattuale collettiva, quale il  contratto  collettivo
nazionale di lavoro giornalistico. 
    In primo luogo, perche' le norme  censurate  non  si  limitano  a
rinviare alla contrattazione  collettiva  di  un  certo  settore,  ma
specificano anche la qualifica ed il trattamento economico  che  deve
essere riconosciuto agli addetti agli uffici stampa (e quindi, per il
personale in questione, la disciplina di questi fondamentali  aspetti
del rapporto di impiego e'  il  frutto,  non  del  libero  esplicarsi
dell'autonomia  negoziale  collettiva,  bensi'  dell'intervento   del
legislatore). In secondo  luogo,  e  piu'  in  generale,  perche'  le
disposizioni impugnate in realta' non dispongono che il  rapporto  di
lavoro degli addetti agli uffici stampa debba essere  regolato  dalla
contrattazione  collettiva,  bensi'  individuano   esse   stesse   il
trattamento che si deve applicare a quel personale  (appunto,  quello
previsto dal contratto collettivo del lavoro giornalistico), onde gli
agenti    negoziali    rappresentativi    delle    categorie    delle
amministrazioni datrici di lavoro e dei  dipendenti  interessati  non
possono contrattare alcunche' in proposito. 
    Neppure  e'  possibile  sostenere   che   le   disposizioni   sul
trattamento giuridico degli  addetti  agli  uffici  stampa  sarebbero
strettamente funzionali alla regolamentazione di quegli uffici,  onde
le norme impugnate sarebbero legittime perche' dirette, in realta', a
disciplinare  gli  uffici  stampa.  Invero,  la   definizione   della
struttura e delle funzioni degli uffici stampa e' aspetto diverso  da
quello dell'individuazione della fonte della disciplina del  rapporto
di impiego di chi a quegli uffici sia addetto.  Ne'  si  scorgono  le
ragioni  per  le  quali  l'applicazione  del  trattamento   economico
previsto dal contratto collettivo  di  lavoro  giornalistico  sarebbe
funzionale  alla  garanzia  della  trasparenza  e   dell'obiettivita'
dell'informazione   dovuta   dalla   pubblica   amministrazione    ai
cittadini». 
    Sulla   base   di   tali   motivazioni,   la   Corte   dichiarava
l'illegittimita' costituzionale dell'art. 58, comma  1,  della  legge
della Regione Sicilia 18 maggio  1996,  n.  33  nella  parte  in  cui
prevede che il contratto nazionale di lavoro giornalistico si applica
anche ai giornalisti che fanno parte degli uffici stampa  degli  enti
locali; dell'art. 16, comma 2, della legge della Regione  Sicilia  17
marzo 2000, n. 8 nella parte in cui prevede che la  qualifica  ed  il
trattamento  contrattuale  di  caposervizio  si  applica   anche   ai
componenti degli uffici stampa  degli  enti  locali;  dell'art.  127,
comma 2, della legge della Regione Sicilia 26 marzo 2002, n. 2  nella
parte in cui prevede che ai giornalisti componenti gli uffici  stampa
gia' esistenti presso gli enti locali e' attribuita la  qualifica  ed
il trattamento contrattuale di redattore capo,  in  applicazione  del
contratto nazionale di lavoro giornalistico. 
    Orbene, le medesime censure paiono valere anche con riguardo alla
legislazione emanata dalla Regione Marche, con  particolare  riguardo
all'art. 7 comma  3  della  L.R.  n.  51/1997  che  prevede  che  «Il
personale regionale di ruolo iscritto all'ordine  dei  giornalisti  e
che svolge mansioni giornalistiche negli uffici stampa della  Regione
puo' optare per  il  trattamento  economico  previsto  dal  contratto
collettivo di lavoro giornalistico. In tal caso il rapporto di lavoro
e' trasformato in rapporto a tempo indeterminato non di ruolo». 
    Dunque, anche il  legislatore  marchigiano,  nel  prevedere  che,
addirittura a domanda del singolo dipendente, gli addetti agli uffici
stampa della Regione possano  optare  per  il  trattamento  economico
previsto dal contratto collettivo di  lavoro  giornalistico,  risulta
avere violato i limiti della potesta' legislativa regionale ai  sensi
dell'art. 117  Cost.  ed,  in  particolare,  il  generale  principio,
desumibile dagli artt. 2 e 45 del D.lgs. 165/2001, secondo  il  quale
il trattamento economico dei dipendenti pubblici il cui  rapporto  di
lavoro  e'  stato  «privatizzato»  deve  essere  disciplinato   dalla
contrattazione collettiva. 
    Si ricorda, infatti, che ai  sensi  dell'art.  1,  comma  3,  del
decreto  legislativo  n.  165/2001,  «Le  disposizioni  del  presente
decreto costituiscono principi fondamentali ai  sensi  dell'art.  117
della Costituzione. Le regioni a statuto ordinario  si  attengono  ad
esse tenendo conto delle peculiarita' dei rispettivi  ordinamenti.  I
principi desumibili dall'art. 2 della legge 23 ottobre 1992, n.  421,
e successive modificazioni e dall'art. 11, comma 4,  della  legge  15
marzo 1997,  n.  59,  e  successive  modificazioni  ed  integrazioni,
costituiscono altresi', per le Regioni a statuto speciale  e  per  le
Province autonome di Trento  e  di  Bolzano,  norme  fondamentali  di
riforma economico-sociale della Repubblica». 
    Nella specie, appare,  inoltre,  rilevante  anche  denunciare  il
contrasto con quanto dettato dall'art.  9,  comma  5  della  Legge  7
giugno 2000 n. 150,  il  quale  cosi  recita:  «negli  uffici  stampa
l'individuazione e la regolamentazione dei profili professionali sono
affidate alla contrattazione collettiva nell'ambito di  una  speciale
area  di  contrattazione,  con  l'intervento   delle   organizzazioni
rappresentative della categoria dei giornalisti. Dall'attuazione  del
presente comma non devono derivare nuovi o maggiori  oneri  a  carico
della finanza pubblica». 
    Ebbene, anche tale previsione normativa e'  dotata  di  copertura
costituzionale nei confronti  del  legislatore  regionale,  in  forza
dell'art. 10 della stessa legge n. 150/2000. 
    Dunque, comportando l'applicazione della disposizione di cui alla
L.R. n. 51/97 un sicuro e  sensibile  incremento  della  retribuzione
posta a carico della finanza pubblica, anche sotto tale  aspetto,  si
denuncia un ulteriore motivo di illegittimita'  costituzionale  ferma
restando, comunque, la gia'  dedotta  violazione  del  sistema  delle
fonti sulla disciplina del  rapporto  di  impiego  costituzionalmente
garantito. 
3. - Conclusivamente, il giudice del lavoro,  per  le  considerazioni
che precedono, non ravvisando la possibilita' di procedere oltre  nel
giudizio  in  corso,  senza  la  preventiva  decisione  della   Corte
Costituzionale  sulla  pregiudiziale  questione   di   illegittimita'
dell'art. 7 comma 3 L.R. Marche n. 51/1997 prospettata nei sensi come
sopra esposti, solleva d'ufficio la relativa questione.